Massimo

Agosto 1998
ti scrive Massimo, infermiere, sono stato sorpreso nell’ascoltare il 30/12/06 al TG5 e poi a Buona Domenica il 7/1/07 il caso di malasanità di cui tu e tua moglie deceduta siete vittime. Stiamo vivendo la stessa vicenda, la mia credo sia più eclatante e colgo il tuo invito a segnalare al sito www.vitarubata.com , che hai costituito, per denunciarlo. Molte associazioni per la tutela dei diritti dei malati sono costituite da medici e non hanno interesse a denunciare la verità dei reati nella sanità, per cui necessita che i casi denunciati siano valutati da personale, che non opera nella sanità, ma che conosce la medicina. Le perizie dei CTU sono spesso redatte al fine di limitare le conseguenze per i medici responsabili, per esempio l’abuso di addebitare i decessi alla patologia CID, parola miracolosa per togliere dai guai i medici. Mio padre è stato assassinato volontariamente dai un gruppo nutrito di medici italiani e stranieri, con la correità degli infermieri, che hanno assecondato l’operato dei sanitari. Non mi dilungo sui numerosissimi fatti squisitamente tecnici di interesse medico legale, penale, che sono scandalosamente evidenti, molto più del tuo caso, in pratica ho la cosiddetta “pistola fumante”. Ti elenco sinteticamente i principali aspetti d’interesse penale. Lesioni colpose gravissime; Occultamento delle lesioni prodotte; Somministrazione a dosi letali di oppiacei, barbiturici e neurolettici; Atto chirurgico non riportato in cartella clinica; Assenza di due consensi informati, mai redatti; Manipolazione di cartella clinica e sua alterazione; Sottrazione di atti dalla cartella clinica e dal fascicolo giudiziario in Procura; Sottrazione degli atti di indagine effettuate dai carabinieri; Esame tossicologico positivo ad oppiacei e barbiturici, non prescritte in cartella e mancata denuncia alle autorità, come anche per le lesioni prodotte al paziente dall’ospedale di provenienza, da parte del secondo ospedale di accettazione; Mancata adozione di adeguata terapia per le gravissime lesioni emorragiche prodotte; Mancata alimentazione del paziente per 32 giorni; Adozione di trattamento cruento, controindicato, afinalistico e ripetuto fino alla morte del paziente; Trattamento della salma in violazione dei regolamento di polizia mortuaria e delle metodiche per l’accertamento della morte. Perizia medico legale del CTU, origine dell’archiviazione del caso, redatta in modo vago, lacunosa, contraddittoria, con palesi inesattezze e forvianti, gravi omissioni. Dopo aver contattato medici legali, avvocati e tra le più note associazioni di tutela dei diritti dei malati, si è constatato il rifiuto a trattare il caso in questione, per la certezza che emerga l’omicidio volontario. Dall’agosto 1998, data del decesso e dopo i gravi depistaggi, iniziai studi di medicina, che grazie alle già acquisite conoscenze ed esperienze per l’attività di infermiere, riuscì dopo 4 anni nel 2003 a ricostruire e provare scientificamente il tutto. Il medico legale militare, che mi sostiene, solo giorni fa mi ha consegnato l’ultima integrazione alla perizia legale, redatta nell’arco di due anni, sempre per prudenza, per non essere coinvolto in un caso così grave. Ora, ho una perizia medico legale dalla cui lettura emergono fatti gravi, che ipotizzano seriamente l’omicidio volontario, facilmente deducibile da chiunque, soprattutto da un giudice. Ovviamente nel 2001, nonostante la mia opposizione al provvedimento, il giudice decise la definitiva archiviazione con un provvedimento dal contenuto scandalosamente riprovevole. Dal 2003 ad oggi non si è giunti al deposito di una giusta e limpida querela contro i due ospedali per le indecisioni del medico legale, timoroso ed autore di ripetute integrazioni e per le frequenti insoddisfazioni dell’avvocato delle perizie medico legali, comportamento, che solo ora, si manifesta forviante e pretestuoso. Gli atti medici eseguiti, per la loro assurdità, non possono ritenersi eseguiti da medici professionisti, perché palesemente controindicati e dannosi, anche per personale non sanitario. Oggi, mentre ti scrivo, ho appreso dal mio avvocato la prescrizione dei reati entro i 5 anni dall’evento, quindi ci resta solo un accordo extra giudiziario con il primo ospedale straniero, mentre contro quello italiano non si può assolutamente ricorrere. In netto contrasto con quanto dichiarato in precedenza sulla non prescrizione dei reati. Le contraddizioni emerse ed il comportamento dall’avvocato nei due anni trascorsi, mi fanno sospettare la strategia collusiva tra lui ed i sanitari. L’intera vicenda, degna di un romanzo, mi lascia quasi impotente, ed ora mi ritrovo ad avere prove schiaccianti ed indiscutibili e non poter ricorrere contro questi assassini, causa il comportamento dolosamente negligente dell’avvocato mio “amico”, che spontaneamente si offrì di patrocinarmi. Egli, ora afferma, che l’omicidio colposo si prescrive dopo 5 anni e non 10 anni, mi chiedo perché dal 5° all’8° anno rassicurava che “i termini non scadono”, eseguendo iniziative in contrasto ad una prescrizione quinquennale? Giuseppe, ti scrivo, per chiederti aiuto nel far emergere un caso di inaudita gravità, io che a differenza di te, per la professionalità ed il settore sanitario in cui già operavo, avrei dovuto essere favorito. Invece, tu con le gravi lacune in materia, eri idraulico e con modesto livello scolastico, sei riuscito in un’impresa grandiosa a smascherare i sanitari. IO, pur avvantaggiato dalla mia professionalità, dai gravi ed evidentissimi reati commessi dai medici, facilmente dimostrabili, non riesco ad avere giustizia.